eMovere


Emozione e movimento sono legati dalla loro radice etimologica. Due concetti molto diversi che tuttavia si richiama- no a vicenda ogni volta che vengono definiti.
Essere un migrante significa assumere questo movimento per tutta la vita e quindi sapere che sarà sempre accom- pagnato da un cocktail di emozioni. Il movimento del migrante individua un punto di origine e da lì viene lanciato come una freccia in una certa direzione. Prende una rotta.
Il senso più intimo, emotivo e sfaccettato della migrazione appare come uno sradicamento. Dall’altra parte e in lontananza ci sarà sempre la possibilità di nuovi orizzonti. In questo processo, Valentina Fusco colloca il suo lavoro a partire dalla contraddizione di questo territorio intermedio sempre mutevole e fluido, come spazio per la creazione di una trama che non è né un luogo né l’altro, ma piuttosto l’erosione di questo movimento su entrambe le sponde. La caratteristica di questo spazio intermedio è il costante movimento tra due pezzi di terra spesso separati da enor- mi distese d’acqua.
L’esperienza dei migranti è molto varia. Alcuni lasciano i loro territori con la forza, altri per scelta. Alcuni percorrono lunghe distanze, altri solo pochi chilometri per raggiungere una destinazione vicina. Alcuni non tornano mai nel loro luogo d’origine. Altri vivono come se non avessero mai lasciato il luogo in cui sono nati, mantenendo tutte le loro abitudini.
Siamo tutti un po’ migranti, anche se l’esperienza di ciascuno è sempre unica e non trasferibile.
Il lavoro di Valentina Fusco indaga i diversi processi migratori nel corso della storia, ma invece di vedere i migranti come vittime del destino, cerca di ascoltare la loro voce, per quanto lontana e ovattata possa sembrare. Emovere nasce dalla migrazione dell’artista stessa, quando decide di lasciare Genova per stabilirsi a Buenos Aires nel 2019, e cambia rapidamente sfumatura quando le restrizioni imposte durante la pandemia di coronavirus le impediscono di tornare nel suo Paese. Da Buenos Aires, inizia a interessarsi alle migrazioni italiane che hanno lasciato in massa l’Europa per il “nuovo mondo” che l’Argentina rappresenta dall’inizio del XX secolo. Si sofferma anche sui problemi dei movimenti migratori nell’Europa di oggi. Alla fine, questa ricerca la porta a ripercorrere l’esperienza migratoria dei suoi genitori, che negli anni ‘60 lasciarono Napoli per cercare un futuro migliore a Genova.
In questo andirivieni dalla storia personale alla storia universale e dalla storia universale alla storia familiare, interiorizzando ciò che è proprio e mescolandolo con ciò che è straniero, osserva come questi movimenti stiano plasman- do per sempre la vita dell’emigrante.
La scelta di pensare ai processi migratori attraverso la metafora dell’acqua pone l’autrice in una posizione fluida
che non cerca di trarre conclusioni, ma piuttosto di abitare uno spazio di domande sempre mutevoli e in movimen- to. Guardare dall’acqua ci permette di osservare l’aspetto concreto della costa che viene abbandonata o quello di destinazione, esponendo la complessità della visione da parte di un corpo che sarà sempre contraddittorio, struttu- rante ma anche strutturato.
Non c’è nostalgia per il luogo d’origine o una conclusione sulla destinazione scelta. Piuttosto, l’opera naviga nell’in- certezza della vita di chi ha levato l’ancora.
Paula Teller, curatrice Buenos Aires, febbraio 2023